Giornata del Panathleta


2015-09-11

Quest’anno, per la tradizionale giornata del Panathleta, è stata scelta l’Alpe Palù, situata in una splendida piana che si apre poco sopra il Lago Palù. Il ritrovo di tutti i panathleti era fissato alla Malga Rundai, un agriturismo gestito con passione dalla famiglia Sem, per gustare un pranzo preparato con prodotti locali genuini.

Un gruppetto di soci ha colto l’occasione per una splendida e panoramica escursione nei dintorni, percorrendo l’anello del monte Roggione (o cresta del rungiùm, m. 2361) che funge da spartiacque fra il bacino del lago Palù e la conca di Franscia.

Partiti da San Giuseppe, si è percorso l’agevole e comodo sentiero che raggiunge la località Barchi e prosegue snodandosi in un incantevole bosco di pini e abeti sino alle sponde del lago Palù.

Il lago fu originato dallo sbarramento creato da una paleofrana, ora di dimensioni ridotte rispetto al passato tanto è vero che ai tempi di Melchiorre Gioia lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'oretta per percorrerlo interamente. Era assai più pescoso e consentiva a diverse famiglie di vivere praticando la pesca. Nella “Guida alla Valtellina” di Fabio Besta, edita dalla Sezione Valtellinese del CAI nel 1884, si legge:

“Il Palù (1993 m.) vuolsi annoverare fra i pittoreschi laghi montani. Giace in una conca fra il Monte Motta e il Monte Nero, e misura circa 600 metri in lunghezza e 300 metri in larghezza… durante un mese dell’anno vi stanno alcuni pastori, poi tutto è quiete e silenzio. Un parroco di Chiesa fece erigere vicino al lago una casetta, nella quale egli soleva passare alcuni giorni di svago. ... Il lago non ha emissari apparenti e nessun ruscello si versa in esso: le sue acque sono limpide tanto che vi si possono prendere dei bagni. ...  Né i pesci vi mancano, anzi v’abbondan le trote, e vi si trovò pur anco una grossa anguilla che ora si conserva nel Museo dell’Università pavese. Uno dei divertimenti più graditi è la pesca, o meglio la caccia delle trote. La limpidezza delle acque rende inutili le reti e gli ami: conviene adoperare il fucile. Si pone una piccola fiocina su una bacchetta, che in luogo del projettile si mette nella canna di un fucile, a cui si raccomanda con una cordicella. E con essa si colpiscono le trote quando vengono a fior d’acqua per ingoiare una bicciola di pane o qualche altra cosa che si ebbe cura di gettar loro. ”.

Dal lago si prosegue sino al Rifugio Palù, da dove il comodo sentiero si restringe e diviene una sorta di tratturo sino all’Alpe Roggione chiusa, a nord, dalle articolate pendici del massiccio del Sasso Nero. Si procede su un sentierino che si immerge in un bosco di larici, pini, mughi ed abeti. Diversi i massi, fra i quali il sentiero si districa, segno della paleofrana che creò lo sbarramento origine del lago. Il sentiero diventa sempre più stretto e ripido sino a raggiungere il Bocchel del Torno.

Al passo si svolta a destra e si procede su una traccia di sentiero, a volte difficile da individuare e che corre lungo il crinale per arrivare sulla cima del monte Roggione dove si trova una vecchia croce di legno, un po‘ sgangherata.

Una lunga sosta per riposare, scattare le foto di rito e, soprattutto, godere dell‘eccellente panorama. Lo sguardo spazia su un meraviglioso arco di montagne dal Pizzo Cassandra al Disgrazia, alla Cima del Duca, alla punta Rosalba. La carrellata prosegue con la bastionata delle Cime di Rosso, del Vazzeda e del Forno, per poi proseguire con il Sasso di Fora e la triade Tremoggia-Malenco-Entova. Seguono il monte delle Forbici, le cime di Musella, la cima di Caspoggio ed il Sasso Moro e dietro loro ecco emergere, ben visibili, le grandi cime della testata della Valmalenco: il pizzo Roseg, lo Scerscen, il Bernina (m. 4049), la Cresta Güzza, il pizzo Argient e il pizzo Zupò, mentre restano nascoste dietro il Sasso Moro le tre cime del pizzo Palù. Infine, a chiusura di questo magnifico panorama della Valmalenco l’inconfondibile triangolo del pizzo Scalino che sembra pavoneggiarsi della sua singolare eleganza e bellezza.

Si scende verso il Passo di Campolungo, percorrendo un sentiero insidioso perché a volte poco visibile, ricoperto di sassi traballanti o di erba scivolosa. Bisogna prestare molta attenzione per non cadere. Raggiunto il passo, dove d’inverno volteggiano gli sciatori che scendono dall’Alpe Motta, si prosegue lungo una comoda strada che, in poco tempo, conduce al luogo di incontro: l’agriturismo Rundai.

Il gruppo di soci si riunisce e si dà libero sfogo alle ganasce per gustare, nella pace dell’Alpe Palù, il pranzo succolento preparato dal gestore. Dopo pranzo ci si rilassa, si prende il sole, si schiaccia un pisolino, si gioca a carte, si chiacchiera, sino a quando, tutti insieme, si riprende il cammino per i Barchi.

Si scende al Lago Palù, lo si costeggia e, prima di riprendere il sentiero che scende a San Giuseppe, sulla sinistra si può osservare  un edificio che colpisce per la sua singolarità. Non è una baita o un edificio rurale, ma la “ca di sciuur“. Non ci si può avvicinare troppo, perché è pericolante, ma riconosciamo sulla sua facciata una Madonna con Bambino ed una scritta in latino: “ERECTA A.D. MDCCCLXXIII – AUCTA A.D. MCMXI” (“edificata nell’anno del Signore 1873, ampliata nell’anno del Signore 1911”). Sopra la scritta, uno stemma nobiliare che rappresenta una trota sormontata da un orso. L’edificio, già di proprietà delle famiglie Alfieri e Mira di Como, era chiamato così perché utilizzato dai villeggianti, in passato chiamati, nell’idioma locale, “sciuur”.

Ci si lascia e, con un po‘ di nostalgia, si abbandona questo luogo ameno e ristoratore per rituffarci nella calura della valle, così opprimente in questi giorni veramente torridi.

 

Angelo Schena

 

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